Nei due post precedenti ho descritto la situazione intorno all'anno 2000 e poi l'evoluzione fino ai giorni nostri. Qui presento certe riflessioni finali per arrivare anche a proposte concrete. Ricordo che l'articolo integrale è pubblicato sul No. 9 della rivista FRUTTICOLTURA dedicato alla 29ma edizione della fiera MACFRUT di Cesena.
Riflessioni finali, cont.
In Italia sono presenti forze dormienti che possono essere inserite in aggiunta a quanto di buono già esiste. Sono attori sufficientemente professionali e fortemente motivati che potrebbero operare, facendo leva sulla buona immagine mondiale dei prodotti alimentari italiani, una nuova crescita. A queste forze si deve garantire pari condizioni con gli uffici commerciali delle cooperative e/o OP. Già nel 2010 il prodotto di punta, il kiwi italiano, ha raggiunto 68 paesi in tutto il mondo. Utilizzando questa punta di diamante si può ipotizzare buoni successi anche con altre specie a patto di realizzare una forte convergenza di tutti sul comune target. Tutti devono poter contare sul totale appoggio di enti ed istituzioni nelle fasi operative e della comunicazione pubblicitaria.
Proposte
Fin qui è stato un tentativo di riassumere il divenire degli eventi. Ora è il caso di pensare a possibili rimedi:
Tutti i più importanti leader della filiera ortofrutticola attualmente influenti sanno che l’Italia da anni perde quote di mercato e sono concordi nel ritenere l’aumento delle esportazioni necessario per riequilibrare domande ed offerta. Se questo non lo si mette in dubbio non si deve mettere in dubbio neanche che si è in presenza di commercio. Commercio internazionale ma commercio.
Per troppi anni si è investito unicamente nella produzione e nel rendere più efficiente l’aggregazione della produzione a discapito della distribuzione. E’ così andata perso l’ orientamento al mercato, le capacità di sviluppare commerci è andata scemando. Se è vero che nella vecchia Europa la distribuzione è diventata spesso servizio così non è per tutto il vasto mondo che potrebbe assorbire le nostre eccedenze. Pensiamo ai paesi dell’Est, ai paesi del Nord Africa, a quelli del Medio e Estremo Oriente ed ai paesi del Sud America. Essi potrebbero assorbire grandi quantitativi di frutta ed agrumi ma i più vicini in parte anche ortaggi.
Ma abbiamo anche perso la misura con la quale pesare il valore del fattore commercializzazione perché di fronte a un mercato così vasto la squadra di commerciali che girano l’Europa (per non parlare del mondo intero) è ridicola. Se il kiwi ha raggiunto ormai 68 paesi si capisce che i fronti sono tanti ed ancora di più sono le nicchie.
L’aver ufficialmente promosso, preferito e rafforzato unicamente la produzione aggregata, includendovi i rispettivi uffici vendita, ha scoraggiato l’operatore privato che con istinto, passione ed accettazione di rischi commerciali poteva aprire nuovi mercati per se ma anche per i produttori. Di questi operatori ce ne sono ancora oggi a migliaia se contiamo quelli associati in Fruitimprese, quelli che non si associano mai a nessuno, quelli che operano sui mercati all’ingrosso o nelle loro vicinanze e quelli che hanno solo uffici import-export. Come esempio potrà servire l’organizzazione commerciale degli specialisti olandesi che con grande professionalità sono presenti con tutte le merci del mondo su tutti i mercati incluso quello italiano.
Non si tratta di indebolire l’esistente che va bene per l’ordinaria amministrazione, quella della Grande Distribuzione, qui si parla di far partecipare di nuovo tutti i giocatori che il paese finora ha lasciato in panchina. Saranno essi stessi a trovare nuove strade aumentando i consumi di prodotti italiani. Saranno loro a soddisfare prevalentemente quel 50 % che ancora oggi rappresenta “Nomal Trade e Horeca” a livello globale, in contrapposizione a quello dei grandi retailers. Se il privato può prevedere utili si muoverà anche nell’interesse della produzione per la quale dovrebbe diventare il braccio commerciale per tutte le evenienze. Non credo siano necessarie aggregazioni fra questi soggetti, a loro basterebbe una cornice operativa ben delineata e sostenuto sia dal pubblico che dalle grandi organizzazioni professionali agricole. Sapere e sentire di avere il sostegno e la collaborazione della produzione e l’attenzione dello stato potrebbe anche bastare. Si tratterebbe in pratica di un inversione di tendenza che finora ha visto contrapposti i due mondi, quello della produzione e quello della commercializzazione. La produzione potrebbe capire meglio il funzionamento delle pratiche commerciali e considerare la commercializzazione per quel che è: un servizio per portare ai consumatori sempre più ortofrutta.
Le condizioni inderogabili per un inserimento dei professionisti ed una loro piena collaborazione sono:
Nei confronti della produzione:
- Accesso libero e senza limiti a materie prime
- Accesso a partite e forniture di prodotto già confezionato a prezzo scontato del 5 %.
- Più coinvolgimento di operatori attraverso accordi di collaborazione e di esclusive fra cooperative di produttori ed operatori commerciali.
- Ricerche di mercato per adeguare il prodotto (la materia prima) ai mutevoli gusti dei consumatori
- Il finanziamento e la realizzazione di campagne di promozione e pubblicità istituzionale a sostegno dell’immagine positiva dell’ortofrutta italiana in Italia ed all’estero
Con riferimento alle istituzioni:
- Compressione di tutti i tipi di costi, compresi gli oneri previdenziali
- Assistenza promozionale dell’ICE simile a quella data al comparto vino italiano dopo la crisi del Metanolo.
- Premi e ristorni all’esportazione nelle forme possibili
- Formazione di personale adeguato per operare sui mercati esteri (sono importanti le lingue ma anche l’attitudine a relazionarsi con lo straniero in campo commerciale)
- Impegno per l’abbattimento di barriere doganali e fitosanitarie su tanti mercati esteri
- Infrastrutture autostradali, portuali ed aeroportuali efficienti
- Dogane ultra efficienti
- Banche ed assicurazioni adeguate
Le ultime quattro riflessioni sono ugualmente importanti:
- La produzione non deve perdere di vista che un commercio tenuto ai margini tende a rifornirsi all’estero a danno della produzione italiana
- I supermercati italiani dovrebbero ottenere il massimo di collaborazione per poter offrire sui loro scafali solo merce buona con il massimo di servizio. Il prezzo basso a tutti i costi non è neanche nel loro interesse.
- L’ orientamento al mercato lo si nota osservando gli attori della IV gamma dove le insalatine sono in mani private (Bonduelle e Dimmidisì) e la frutta ormai nelle mani dei F.lli Orsero. Cooperatori come Valfrutta Fresco e Apofruit fanno fatica a offrire la vasta gamma necessaria a tutte le stagioni e di tutte le provenienze. Chi ha provato le mele a fettine è rimasto al palo.
- Sempre più frutta fresca affolla gli scaffali che non hanno posto per tutto. Sta facendo sempre più strada l’ananas che dà ormai una garanzia quasi assoluta di costante bontà organolettica, cosa che dovremmo imitare entro breve per tutti i nostri prodotti. Per esempio in Italia all’inizio di giugno preme sul mercato la varietà di albicocche Tirintos che tutti gli addetti ai lavori conoscono come immangiabile. Ma non è l’unico esempio.
fto.
Rolando Drahorad - una voce fuori dal coro