Quando nei primi decenni del dopoguerra in Italia l’economia era viva i sindacati erano forti ed avevano vita facile. Con
argomenti più o meno razionali riuscivano a frustare sia gli imprenditori che i
politici. La conseguenza era una continua, delle volte anche sproporzionata,
crescita dei salari e dei diritti connessi. I giorni di ferie e di permessi
aumentavano, le pensioni lievitavano, alla tredicesima veniva aggiunta la
quattordicesima mensilità ed i medici concedevano giorni di malattia a gogo.
Con l’aumentare degli oneri aumentava anche il costo orario di ogni
lavoratore e pertanto anche di ogni unità di prodotto . Questo stato di cose
spronava gli industriali a migliorare continuamente la produttività ed il
metodo più logico era quello della meccanizzazione.
Ho potuto seguire questo processo nel mio settore dove negli anni ’50 il 90 percento delle lavorazioni venivano eseguite a mano mentre già negli anni ’60 ed ancora di più negli anni ’70 e ’80 l’introduzione di nuovi macchinari era all’ordine del giorno. Altri paesi non avevano ne un partito comunista ne un sindacato rosso altrettanto forti e non avevano questa spinta, questo sperone continuo nei fianchi.
Ho potuto seguire questo processo nel mio settore dove negli anni ’50 il 90 percento delle lavorazioni venivano eseguite a mano mentre già negli anni ’60 ed ancora di più negli anni ’70 e ’80 l’introduzione di nuovi macchinari era all’ordine del giorno. Altri paesi non avevano ne un partito comunista ne un sindacato rosso altrettanto forti e non avevano questa spinta, questo sperone continuo nei fianchi.
Fatto sta che presto le industrie specializzate nelle macchine del settore
iniziarono a vendere anche all’estero e spesso anche nei mercati d’oltremare.
Nacque la grande tradizione dell’industria meccanica italiana e della presenza
costante e qualificata dell'automazione italiana, prima solo meccanica e poi meccatronica,
in tutto il mondo.
In Europa nel campo del manufatturiero solo la Germania riesce a stare davanti all'Italia ma
non di molte lunghezze. Il nostro sviluppo presente e futuro del settore, se ben
partendo da posizioni avvantaggiate, subisce però fortemente l’arretratezza del sistema Italia e da ultimo ha iniziato a rallentare. Se si
è campioni di burocrazia, di sperperi e corruzione, di limiti alla concorrenza,
di servizi bancari e finanziari inefficienti si capisce che non si può
mantenere posizioni di testa. Handicap di questo peso ci relegano
automaticamente nelle ultime posizioni.
L’unica mia speranza al momento è che l’improvvisa diffidenza della finanza
internazionale verso l’enorme debito italiano generi l’effetto delle frustate
dei sindacati nel passato. Solo se gli italiani guardano in
faccia la realtà e trovano le soluzioni giuste per rimettere in carreggiata
questo treno deragliato ci sarà l’agognata crescita. Ma è necessario accettare
i cambiamenti dopo anni di lassismo inventando inoltre nuove vie per tornare a
domare il proprio destino piuttosto che lasciarsi sfruttare da competitor che non
aspettano altro che veder andare alla deriva un temibile concorrente.
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