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sabato 30 marzo 2013

PASQUA porta (anche) speranza


In questi giorni dove ci auguriamo Buona Pasqua cerco di dimenticare tutte le cose negative che pure la situazione politica ed economica ci porta. Vorrei fare gli Auguri cercando di capire che cosa c’è di buono negli sviluppi di questi giorni:


Scultura monumentale esposta a ARTE FIERA di Bologna

L’Italia ha bisogno di mille riforme. Conosciamo tutti una lunga lista d’attesa che prima o dopo dovrà essere smaltita. Nel frattempo però l’Italia mi sembra essere il paese che fa i maggiori progressi innovativi per quanto riguarda la società. Non c’è dubbio che il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo ha dato una sferzata che solo una situazione totalmente degradata poteva permettere. Improvvisamente succedono avvenimenti che prima erano forse messe in conto per il futuro ma che adesso si stanno realizzando con grande naturalezza: Quasi il 40 % dei nuovi parlamentari sono donne, oltre i due terzi sono laureati, il numero di avvocati si è dimezzato. Lo stallo istituzionale con 3 partiti incompatibili fra di loro ed allo stesso livello di rappresentanza costringerà tutti ad accettare nuove soluzioni che prima erano lontani anni luce.

L’uso sfrenato di Internet con i vari social media, lo streaming e tanto altro svegliano il paese da un letargo digitale che sembrava dovesse durare in eterno. Questo avvento disarciona tutti gli attori di lungo corso e porta finalmente a galla, non solo in politica ma anche nelle aziende, la digital generation italiana. Ma la velocità e le veemenza con la quale questo accade lascerà i suoi segni anche in altri paesi europei che spesso ancora seguono vecchie strade da lungo collaudate anche se con adeguamenti graduali.

Quelli che non sono al passo con i tempi sono i giornalisti che non riescono a capire e pertanto non riescono a spiegare ai fruitori di media vecchi e nuovi cosa sta succedendo. Per esempio continuano a parlare, anche con ragione, delle terribili crisi nel settore dell’edilizia o delle automobili ma nessuno va a scandagliare il vasto mondo che di queste situazioni approfitta per riorganizzarsi ed inventare nuovi business. Gli sforzi degli ultimi anni delle università di portare il know how nelle aziende sta producendo un incredibile numero di start up in tutti i settore dei servizi e dell’industria che presto se ne accorgerà.

Ci sono enormi potenzialità di sviluppo in tutto il paese, da nord a sud. Il freno all’immediato sfruttamento di queste potenzialità è spesso la mancanze delle specifiche professionalità e spesso anche la mentalità del rischio. Bisogno che tutto il paese si convinca che siamo in una situazione simile a quella creatasi dalla disfatta prodotta dal ventennio sotto la dittatura e che bisogna buttarsi dovunque c’è uno spiraglio. Non appena questo tipo di percezione si insedierà in modo generalizzato e diventerà “cool” l’Italia tornerà a crescere. Prima con l’aumento dell’export ma poi anche sul mercato interno. Il nuovo vento che soffia nelle amministrazioni pubbliche agevolerà il tutto, rendendo possibile cose che oggi neanche ce le immaginiamo.

giovedì 28 marzo 2013

VIGNOLA - la primavera ritarda ad arrivare

Quest'anno la stagione è molto in ritardo. In un'annata normale l'ultima settimana di marzo vede già i primi fiore sui ciliegi. Siamo oggi al 28 di marzo ed i ciliegi dormono ancora anche se le gemme sono gonfie da tempo e vorrebbero esplodere.

Vignola - 27 marzo, primissimi fiori singoli di albicocco sotto il cielo buio
Nelle due foto mostro invece i primi albicocchi in fiore. Le temperature massime sono di +7 gradi centigradi ed il cielo si mostra plumbeo.

Vignola - 28 marzo un filare intero di albicocchi già in pieno fiore, tutto scuro sotto le nuvole cariche di pioggia
Le previsioni di tempo sono poco promettenti anche per il weekend di Pasqua che quest'anno va dal 30 marzo al 1. aprile. La famosa  festa Vignolese del ciliegio in fiore che inizia con la sfilata dei carri allegorici lunedì di Pasqua dovrà fare a meno dell'usuale sfavillante cornice bianca di tanti alberi in fiore.

mercoledì 27 marzo 2013

FRUTTA FRESCA IN UNA FAMIGLIA INGLESE

Poca frutta italiana nella fruttiera fotografata recentemente nella cucina di una famiglia inglese
. La frutta sembra immatura ma non lo è più di quanto osserviamo a casa degli italiani. In bella vista si notano alcune pere Conference delle quali ho mangiata una giusto per capire: era matura al punto giusto ed anche succosa, non era per niente dolce e pertanto per i miei gusti poco buona. Non era dello stesso parere il figlioletto di 6 anni che ne era grande estimatore e consumatore. Strana la poca evidenza delle mele, molto nascosto l'avocado su in alto a destra. Le arance erano le classiche Navel spagnole, le banane poco belle, probabilmente banane Fair Trade molto in voga in GB. I Kiwi erano forse l'unico frutto di provenienza italiana anche se il colore scuro della buccia non è quello tipico.  Per completare il mio racconto devo annotare che in una vaschetta a parte erano presenti anche uve nere e bianche, rigorosamente senza semi ma abbastanza dolci. Forse quella casa non era sempre così rifornita di frutta. Forse il mio arrivo aveva spinto la padrona di casa a fare uno sforzo per farmi piacere..... mah!!

domenica 17 marzo 2013

Ortaggi, più import che export

Periodicamente l'ufficio di statistica dell'associazione Importatori ed Esportatori ortofrutticoli ed agrumari FRUITIMPRESE pubblica le cifre della performance nazionale dei mesi precedenti, o com' è il caso stavolta, di tutto l'anno precedente.

Non posso credere che nessuno si sia accorto che, per quanto riguarda gli ortaggi, nel 2012, di fronte ad un'esportazione documentata di 947.661 tonnellate ci sia stata un importazione di 1.252.286 tonnellate. E' un fatto eclatante anche se certamente non nuovo (basta osservare le relative cifre del 2011).

Reefer container all'arrivo sul mercato estero


Non è neanche una consolazione che il totale dell'ortofrutta esportato sia calato solo dell'1 % o che il saldo fra import ed export sia aumentato del 17 % perché i paesi concorrenti aumentane le loro esportazioni a percentuali anche a due cifre e l'Italia, con il clima che si ritrova, potrebbe essere anche autosufficiente per quanto riguarda gli ortaggi, senza dover ricorrere all'import.

E' un problema che qualcuno dovrà affrontare ma finché nelle dichiarazioni ufficiali sentiamo affermare e sulla stampa continueremo a leggere che l'agroalimentare italiano va bene all'estero, nessuno prenderà il toro per le corna, nessuno solleverà il problema e pertanto nessuno fa le necessarie ricerche ed i necessari investimenti per invertire questo triste trend.
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P.S.: Alcuni giorni dopo la pubblicazione di questo mio post è stato pubblicato il seguente articolo su ITALIAFRUIT.NET che non fa altro che confermare quanto ho qui affermato. Leggi su http://www.italiafruit.net/DettaglioNews.aspx?IdNews=21293&utm_source=GraphicMail&utm_medium=email&utm_term=NewsletterLink&utm_campaign=%28SS%29+Italiafruit+25+Marzo+2013&utm_content=



giovedì 14 marzo 2013

Cosa c'entra la Bridgestone con l'uva da tavola?

Ma si, la Bridgestone, quella che sta per abbandonare l'Italia. Lo stabilimento delle Puglie che produce pneumatici sarà presto chiuso perché la Multinazionale fa fatica in vendere in Europa dove non si collocano più macchine. Sono certo che conoscete questa marca perché i media ne parlano tutti i giorni da settimane e perché tutti i politici, tutti i sindacalisti si preoccupano della perdita dei 950 posti di lavoro.
Grappolo d'uva, riprodotta amorevolmente dall'artista
Lì vicino, a Turi, c’è un’azienda specializzata in produzione e commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, la GIULIANO PugliaFruit con 1.000 dipendenti ma nessuno se ne preoccupa, nessuno ne parla.  L’azienda va bene e non minaccia di licenziare ma nessuno si è mai chiesto se forse lei insieme a tante altre aziende simili in tutt’Italia avessero bisogno di più attenzione, di più assistenza per resistere sui mercati. L’agricoltura è sempre l’ultima ruota del carro.

Spenderanno milioni di euro, di soldi pubblici, di nostri soldi, per tenere in vita un’entità finita fuori mercato (la Bridgestone) quando la medicina giusta sarebbe quella di investire quei soldi per innaffiare le piantine che producono ma che senza il sostegno necessario moriranno anch’esse. Per esmpio l'agricoltura.

Sostenere non significa regalare soldi, basterebbe finanziare la ricerca agronomica, la ricerca di mercato, l’internazionalizzazione, la promozione, la pubblicità. Migliorare la logistica e tutte le infrastrutture indispensabili. Fare insomma quanto fanno i nostri concorrenti. Se l’ortofrutta italiana perde annualmente quote di mercato è perché altri trovano soluzioni migliori. E non sono solo i paesi low cost ma anche paesi come la Spagna, l’Olanda, la Polonia o gli Stati Uniti che si presentano ogni anno con prodotti innovativi.

Un esempio: Produrre con il metodo biologico non è semplice. Molte delle nostre specie sono troppo esposte all’attacco di malattie di ogni genere. C’è bisogno di trovare varietà resistenti alle varie patologie. Quelle che richiedono meno agrofarmaci. La ricerca di questo tipo esiste, ma solo nei paesi del Centro-Europa. Studiano però le varietà adatte per quei climi. I risultati di quelle ricerche in Italia non servono. Dovremmo studiare soluzioni per i nostri climi. Oggi ancora il biologico italiano è all’avanguardia ma se nessuno studia il futuro anche il biologico sarà presto relegato in second’ordine.

mercoledì 13 marzo 2013

Ecco perché l'agricoltura fa ben sperare

Ne è passato del tempo da quando, a cavallo degli anni '50 il 46 % degli italiani era occupato in agricoltura. Ora siamo scesi  a percentuali a una cifra.

Raffronto fra la produttività generale e quella in agricoltura

Tutto questo proprio nel periodo quando la politica economica del paese ha relegato l'agricoltura nell'angolo più lontano da ogni attenzione e visibilità. Forse proprio per questo, per essere coscienti che dall'alto c'era poco da aspettarsi (con l'eccezione dei finanziamenti stanziati  dall'Unione Europea) che in campagna hanno razionalizzato a più non posso.

 Questo grafico pubblicato su un importante quotidiano pochi giorni fa  mette in evidenza in modo chiaro e conciso la performance del primo settore raffrontato con quella dell'intera economia della nazione. (Mi scuso per la cattiva qualità dell'immagine ma l'originale è andato perso - la riga superiore indica la produttività in agricoltura). Questo aumento di produttività  ha permesso agli operatori agricoli di sopravvivere in lunghi decenni di stagnazioni di prezzo. Negli anni più recenti però l'aumento repentino dei costi della distribuzione ha avuto come effetto un incremento dei prezzi al consumo senza che questo potesse essere trasmesso al produttore. Di conseguenza i ricavi del produttore sono spesso scesi al di sotto dei costi di produzione. In questo momento c'è molta preoccupazione che in tanti casi l'azienda agricola non abbia più la forza di produrre qualità per la quale mancano proprio i mezzi finanziari necessari per sostenerla.

Penso alla mano d'opera, all'irrigazione, alla lotta antiparassitaria, il parco macchine agricole ed ai tanti altri fattori che formano il costo al kilo franco "farmgate" come lo definiscono gli americani, cioè franco partenza cancello  di fattoria. La conseguenza immediata sarebbe l'aumento del prezzo dei prodotti di qualità che discriminerebbe i consumatori più poveri senza apportare mediamente ricavi più remunerativi alla produzione.


martedì 12 marzo 2013

La politica è cattiva consigliera

Nel 2011, in occasione dei festeggiamenti dei suoi 100 anni di storia la cooperativa TERREMERSE di Massalombarda ha pubblicato un libro curato da Tito Menzani dal quale (pag. 35) estraggo poche frasi perchè mi sembrano adatte come monito in questi nostri tempi  movimentati:


Cooperativa Frutticoltori Massalombarda (RA) nel 1922 occupa fino a 500 maestranze

"...Nel 1922 veniva poi fondata la Cooperativa Frutticoltori di Massalombarda (CFM).... Nello stesso mese iniziò ad operare anche una cantina sociale interna ... Contemporaneamente si ebbero i primi contrasti fra i soci che provocarono le dimissioni del direttore e l'espulsione di alcuni membri che, contravvenendo al regolamento, avevano anche iniziato a vendere la frutta in proprio anziché far ricorso esclusivamente al canale della CFM. Sullo sfondo di questi contrasti vi era l'ascesa del fascismo, che nelle campagne romagnole incontrava forti consensi ed altrettanto forti resistenze, per cui le spaccature della società civile si ripercuotevano anche all'interno di certe cooperative. Per esempio, nel 1923, si cedette alle pressioni  del sindacato fascista che chiedeva l'ottenimento di un canale privilegiato per l'assunzione stagionale della manodopera avventizia. Non tutti i soci erano stati d'accordo su quella scelta, e dopo ulteriori contrasti, lo stesso presidente, Agostino Tonini, antifascista, arrivò a dimettersi".

domenica 10 marzo 2013

"Abbattere la GDO" è il titolo di un focus sul sito M5S

Marco Rolla ha postato sul sito Movimento 5 Stelle, sezione Commercio,  un focus dal titolo "Abbattimento Grande Distribuzione Organizzata" (vedi testo in calce) Ritengo che chi ha interesse che la distribuzione, sia essa piccola o grande, funzioni ha l'obbligo di spiegare ai non addetti al lavoro  le proprie tesi. Altrimenti vanno avanti solo quelle ideologiche che a lungo andare non portano a risultati positivi, anzi. Ecco il mio contributo su quel blog:


Lucio Fontana invita a osservare cosa c'è dentro

Qui parliamo di distribuzione. Vuol dire portare i prodotti dal luogo di produzione allo scaffale del negozio al dettaglio. Da tempo è in atto la ricerca di un equilibrio fra gli interessi del produttore e gli interessi del consumatore. Da un lato il produttore può introdurre economie di scala se riceve ordini di quantitativi più grossi, dall'altro il consumatore è interessato a servizi più rispondenti alle sue esigenze. E' un fatto incontestabile che chi va a fare la spesa ha sempre meno tempo e cerca il luogo adatto dove poter fare gli acquisti nel più breve tempo possibile. Requisito più importante è diventato il parcheggio comodo. Questo ha generato nel corso degli ultimi decenni in tutti i paesi economicamente progrediti, una costante crescita di punti di vendita più comodi, quelli che la moderna distribuzione a messo a disposizione. Anche i prezzi sono spesso più convenienti. Le associazioni dei commercianti al dettaglio lottano da tempo contro il degrado dei centri storici e le amministrazioni comunali hanno molte colpe nel esagerare la crescita delle grandi superfici. Essi dovrebbero creare una viabilità più agevole e tanti parcheggi in centro. Spesso hanno preferito incassare i diritti loro spettanti per ogni nuovo immobile costruito trascurando gli interessi sia dei piccoli negozianti che delle persone che vivono in centro. Come vedete tutto è più complicato di quanto sembri ma... certi rimedi dovrebbero essere trovati ed adottati.

Questo il testo postato da Rolla:

Abbattimento Grande Distribuzione Organizzata.


Qualcuno tacque pure sapendo... Quando si spinse per la creazione della GDO, i sindacati che già si erano fatti i conti fecero credere che tali strutture avrebbero portato lavoro, così accadde, ma a favore di chi? Delle cooperative partitiche, in questo caso di quelle fiorentine (possiedono la GDO italiana)... casualmente i sindacati che sostennero tale tesi, hanno a loro volta interessi nelle stesse cooperative e di fatto, per meri interessi personali hanno distrutto l'economia reale del commercio italiano. Ho calcolato che i posti di lavori persi a causa della GDO sono circa 4,5 milioni. Il calcolo è semplice, basta ridividere il numero di dipendenti assunti per gli incassi e si vedrà che il rapporto è 1 a 10/15 rispetto al piccolo commercio, aggiungendo poi tutto l'indotto locale, produzione (i prodotti della GDO sono quasi totalmente prodotti all'estero) ingrosso, trasporto, ecc... il conto è presto fatto. Bisogna imporre alla GDO una mostruosa fiscalità da (da pagare nel luogo dove opera e non all'estero) e cercare di abbatterla per ritornare alle PMI che sono unico motore dell'economia e che sta morendo. L'abbattimento della GDO porterebbe un mostruoso boom economico.


Qui parliamo di distribuzione. Vuol dire portare i prodotti dal luogo di produzione allo scaffale del negozio al dettaglio. Da tempo è in atto la ricerca di un equilibrio fra gli interessi del produttore e gli interessi del consumatore. Da un lato il produttore può introdurre economie di scala se riceve ordini di quantitativi più grossi, dall'altro il consumatore è interessato a servizi più rispondenti alle sue esigenze. E' un fatto incontestabile che chi va a fare la spesa ha sempre meno tempo e cerca il luogo adatto dove poter fare gli acquisti nel più breve tempo possibile. Requisito più importante è diventato il parcheggio comodo. Questo ha generato nel corso degli ultimi decenni in tutti i paesi economicamente progrediti, una costante crescita di punti di vendita più comodi, quelli che la moderna distribuzione a messo a disposizione. Anche i prezzi sono spesso più convenienti. Le associazioni dei commercianti al dettaglio lottano da tempo contro il degrado dei centri storici e le amministrazioni comunali hanno molte colpe nel esagerare la crescita delle grandi superfici. Essi dovrebbero creare una viabilità più agevole e tanti parcheggi in centro. Spesso hanno preferito incassare i diritti loro spettanti per ogni nuovo immobile costruito trascurando gli interessi sia dei piccoli negozianti che delle persone che vivono in centro. Come vedete tutto è più complicato di quanto sembri ma... certi rimedi dovrebbero essere trovati ed adottati.

venerdì 8 marzo 2013

Diversificare l'offerta di frutta

Quando un consulente marketing consiglia  di studiare il mercato ed i consumatori, di differenziare la sua offerta e di comunicarla in seguito alla potenziale clientela raramente pensa ai volumi ed al giro d’affari che sarebbero necessari per operare tutte queste belle cose nel settore dei prodotti ortofrutticoli freschi.

Un operatore agricolo associato o un commerciante interno o internazionale in pochissimi casi ha a disposizione un quantitativo tale di un determinato prodotto da poter raggiungere tutti  i consumatori di un paese grande come l’Italia.  Il quantitativo disponibile per una tale azione si dimezza perché sul mercato nazionale si collocano solo calibri medio-grandi, il resto deve trovare sbocco so diversi mercati internazionali.

Ma se non ho quantitativi che mi permettono economie di scala come faccio a sostenere la spesa più importante di un’azione come quella descritta, quella della pubblicità se la presenza della mia marca non può essere garantita laddove arriva il mio messaggio  promozionale?

D’altra parte i quantitativi necessari per coprire giorno dopo giorno  i fabbisogni  anche solo di  poche regioni in caso di attività promozionale circoscritta  di una gestione talmente complessa che pochi hanno le potenzialità di reperimento e di lavorazione della  quantità necessaria di prodotto per coprire il mercato nazionale.

Pensiamo ai casi che fino ad oggi vediamo operare con successo sui mercato italiani. Si tratta o di multinazionali che hanno accesso a grandi quantitativi di frutta esotica  grazie alla complessità della logistica in altri continenti (un esempio per tutti la Chiquita), oppure di intere zone di produzione italiane che per motivi storici hanno  una produzione aggregata da tempo (l’esempio del Trentino-Alto Adige).

Se questo è il problema di tante produzioni e se senza marketing non si può più operare con successo bisogna pensare ai rimedi. La ormai famosa marca di mele "Mela Più" ci ha indicato la strada tanti anni fa: con gli iniziali piccolissimi quantitativi a disposizione ha cominciato a segmentare il mercato e segmento dopo segmento ha conquistato il numero di consumatori sufficiente da garantire il ricavo di un giusto prezzo. Gli esempi sono ormai tanti ma ancora troppo pochi per poter riportare la frutticoltura in utile.






giovedì 7 marzo 2013

Fragole normalizzate


Quando ho iniziato la carriera di venditore di ortofrutta all'estero tutto era più semplice: C'erano stagioni precise per ogni specie, poche erano le varietà ed i mercati erano limitati. Esisteva l'Istituto per il commercio estero (ICE) che imponeva regole, ma erano importanti solo i calibri e le categorie extra, prima e seconda. 

I quantitativi erano sempre limitati, le superfici coltivate per ogni prodotto erano un terzo di quelle di oggi, la resa per ettaro era la metà di oggi, i vagoni avevano la metà della capienza dei bilici di oggi. In compenso si vendeva di tutto e si mangiava di tutto: prima o seconda qualità, calibri piccoli, medi o grossi tutto trovava un mercato, bastava adeguare il prezzo.

In un mondo così fatto la fragola era una regina: era il primo frutto a maturare dopo che per 10 mesi non se ne erano viste, una unica varietà, la Madame Moutot, si avvicinava ai calibri che sono la norma oggi, l'eccitazione dei consumatori era tanta, i prezzi al kilo raggiungevano normalmente il triplo di quelli di mele o pere o arance.

Ma quanto erano buone, quanto erano attese ed apprezzate!

Oggi invece tutto è cambiato, tutto è più normale, più scontato, più livellato. Tutto è meno atteso, meno sofferto, meno raro. E così è anche per le fragole: riempiono gli scaffali  tutto l’anno, sono sempre  belle grosse e rosse e perfette ma nonostante tutto non fanno  più “venire l’acquolina in bocca”. Non esistono più le rarità, le primizie, le attese e neanche le fragole rappresentano un’eccezione.


Ho trattato questo argomento perché sono rimasto allibito da un’offerta veramente speciale trovata presso un fruttivendolo locale: alla fine di febbraio, 2 mesi prima dell’inizio di stagione di una volta, vedo in esposizione quanto raffigurato nella foto più sopra: belle fragole di marca italiana al prezzo di tutta l’altra frutta. Mele pere, mandaranci, banane, kiwi,  ecc ecc, tutte allo stesso prezzo, fra i due ed i tre euro al kilo. Qui se si vuole comprare a quel prezzo bisogna comprare 2 kili, altrimenti si passa a un prezzo sopra i 3 euro. Ma l’uva o quale pomodoro speciale vengono offerte a prezzi anche sopra i 4 euro.

La conclusione è lapidaria: se anche la fragola rappresenta il frutto più ammbito, più complicato da produrre e più difficile da raccogliere, il progresso ha appiattito, insieme ai gusti ed ai sapori, anche la disponibilità ed i prezzi. Niente può più emozionare come una volta, tanta è l’abitudine di avere a disposizione sempre tutto e quasi sempre a prezzi accessibili.

Viene in mente Steve Jobs che in un impeto di razionalità un giorno ha raccomandato “… stay hungry, stay foolish”. Foolish non sono sicuro…. Ma hungy sarebbe una soluzione per tornare a godere un po' di più.







venerdì 1 marzo 2013

Le lauree contano?



In un TWEET di Beppe Grillo ho trovato questa statistica che ritengo interessante. Poco dopo però ho trovato cifre diverse sul Corsera che indica il primato di laureati nella Scelta Civica con l'85 %, la percentuale di M5S 78 % e quella del Centro-Destra al 65 %.  Chi sbaglia?


 
Da riflettere però sul fatto che il parlamento non rispecchia certamente l'acculturamento medio degli italiani: Nel settembre 2012 la media dei paesi Ocse di laureati è del 38% e quella dell'Europa a 21 è del 35 per cento. Complessivamente, prendendo in considerazione tutte le fasce d'età, ma l'Italia è al 15%. Un numero che stride con quanto rivelato dalle statistiche dei laureati in parlamento. Siamo sicuri fin d'ora che le leggi che ne usciranno non rispecchieranno le esigenze dell'uomo della strada.