Nel post precedente ho iniziato descrivendo la situazione che segue l'anno 2000, qui continuo l'esame dell'evoluzione arrivando alle prime riflessioni finali. Ricordo che l'articolo integrale è pubblicato sul No. 9 della rivista FRUTTICOLTURA dedicato alla 29ma edizione della fiera MACFRUT di Cesena.
ANALISI DELLE CAUSE PROFONDE DEL DECLINO DELLE QUOTE DI MERCATO DELLE PRODUZIONI ORTOFRUTTICOLE ITALIANE NEL MONDO.
Nel passato decennio l’interscambio di ortofrutta mondiale (in tutto il 7 % della produzione totale) è aumentato del 220 %, la partecipazione italiana è stata invece solo del 110-120 %. Si è soprattutto inserito l’Est Europeo con nuovi consumi e si sono affacciati per la prima volta grossi paesi esportatori come la Cina ed il Nord Africa.
Queste nuove frontiere avrebbero avuto bisogno di veri specialisti di commercio internazionale i quali, sostenuti da nuove prospettive di guadagno si sarebbero mossi in modo agile e tempestivo alla conquista di nuovi mercati (così come era successo nel primo periodo descritto più sopra).
In Italia l’avvento della cooperazione ha prodotto ottimi tecnici a livello locale e buoni funzionari capaci di gestire le OMC e le PAC di Bruxelles ma è venuta a mancare l’intraprendenza commerciale con la necessaria assunzione dei rischi connessi con ogni aggressione di nuovi orizzonti, nuovi confini, nuovi mercati, nuovi consumatori. Troppo spesso i dirigenti responsabili di decisioni strategiche non pianificano campagne di conquista perché ritengono che il rischio ricade sulla loro persona, la loro posizione mentre eventuali successi non comportano miglioramenti del proprio status o delle proprie finanze.
E’ però anche vero che tutta la politica politicante italiana non è stata animata da strategia a difesa dei prodotti ortofrutticoli italiani. Ne in Italia ne all’estero. Anche i migliori specialisti di commerci internazionali avrebbero infatti bisogno di strumenti adatti per l’affermazione su vasta scala. Avrebbero bisogno di ministeri attenti alle problematiche delle dogane e delle barriere fitosanitarie estere, di uffici ICE e osservatori fitopatologici attenti ed attrezzati, di infrastrutture autostradali e portuali ed aeroportuali efficienti, di affidamenti finanziari sufficienti, di banche attente e di forme assicurative adeguate. Non tutto potrà essere ottenuto dai governi di Roma ma molte cose dovanno essere intraprese insieme ad altri paesi produttori di ortofrutta o anche da tutta l’Unione Europea nel suo insieme. E’ infatti impensabile che un singolo paese possa ottenere risultati a proprio favore quando si presenta presso nuovi colossi come sono oggi i paesi del gruppo BRIC. In questo caso una voce unica Europea sarebbe certamente di grande aiuto e deve essere perseguitata.
Riflessioni finali
Da tutto quanto finora esposto emerge un quadro complesso e si individuano posizioni di debolezza che possono e devono essere eliminate. Alla base di tutto sta vi è un’impostazione strategica di fondo che deve di nuovo diventare in modo preponderante quella commerciale e non quella burocratico-assistenziale perseguita negli ultimi decenni.
Se è vero che in Italia, anche migliorando i consumi interni, riusciamo a consumare soltanto il 60 % dell’attuale produzione ortofrutticola la conclusione logica è quella che se non vogliamo tagliare alberi da frutto e convertire terre oggi coltivate a ortaggi in produzioni di soia o simili dobbiamo aumentare l’export. Questo fatto è noto a tutti ed accettato da tutti, anche ai massimi livelli decisionali operativi e governativi.
In Italia sono presenti forze dormienti che possono essere inserite in aggiunta a quanto di buono già esiste....
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