Quest’inverno un lettore di questo mio blog ha inviato due
contributi anonimi. Ha usato probabilmente questa forma perché trattava temi
delicati facendo anche nomi. Generalmente questo tipo di prosa va nel cestino
ma dopo lunga riflessione voglio qui riprendere il tema: l’utilizzo dei marchi
ortofrutticoli una volta affermati.
Si affermava che per esempio Melinda, Sant’Orsola o anche altri smerciano in modo truffaldino merce non prodotta ne nei territori
indicati ne allevata con i criteri indicati nei disciplinari e pertanto nelle
promesse dell’offerta.
Quanto il lettore afferma è un problema vero che comunque è
di antica origine. Le mele che per esempio vennero esportate in Germania dall’Alto
Adige negli anni ’60-’70 da ditte del posto molte volte provenivano dal Veneto
o anche dal Ferrarese. Le stesse ciliegie in partenza da Vignola all’inizio di
stagione erano .
Nel frattempo sono stati sviluppati e promossi marchi con tutte le
caratteristiche di questo fenomeno: un
grande prodotto viene garantito con certe caratteristiche, presentato in modo
ben riconoscibile e fatto conoscere ed apprezzare dal pubblico con l’aiuto di
tutte le tecniche mediatiche oggi disponibili.
Che una marca una volta affermatasi con successo tenda ad
attirare una clientela sempre più vasta è nelle logiche. L’industria di beni di consumo non ha difficoltà ad
aumentare i quantitativi man mano che la domanda cresce. Diversa è già la
situazione dei prodotti dell’industria alimentare che deve reperire materia
prima dove può e dove conviene (vedi l’esempio dell’olio d’oliva) ma ancora più
difficile si presenta la situazione nel fresco che spesso fa leva sulla particolarità
del territorio per spiegare l’eccellenza delle proprietà gustative (vedi l’esempio
di Melinda).
Ritengo logico che il detentore di una marca cerchi di
servire sempre più clienti per ottenere in questo modo economie di scala. Starà
a lui di garantire la qualità intrinseca con la quale ha conquistato la fiducia
dei consumatori ed andrà a scegliere in altre zone di produzione solo il
prodotto che non tradisce nessuno. Per rispetto del cliente (oltre che delle
leggi) non potrà dichiarare il falso circa l’origine della merce. Ma lo fa nel
proprio interesse perché è teso a mantenere ed aumentare i consumi offrendo
qualità costante.
Il nodo viene al pettine quando la marca è di proprietà di
produttori agricoli e delle loro organizzazioni legati a un territorio e finanziati dallo stato. A loro non
sono permessi integrazioni con prodotti estranei al territorio e la marca del
produttore agricolo non potrà pertanto sfruttare tutte le potenzialità che il
mercato offrirebbe. In questi casi si è
trovato spesso l’espediente di una società trading con marchio molto affine a quello della marca
originale (il detentore del vero marchio non protesterà certamente) e così si
arriva ad alimentare mercati e catene distributive con prodotti molto
simili all’originale anche nelle stagioni che non sono quelle tipiche della
propria produzione. Seguendo leggi di mercato.
Da quanto qui descritto si capisce che nella fase della
commercializzazione si presentano per i produttori forti conflitti d’interesse:
1) se la loro marca commerciale ha successo trascinerà più domanda ma raramente c’è
la possibilità di adeguare la produzione, 2) se non si utilizza lo strumento della
marca non si ottiene prezzi remunerativi.
Si dovrà pertanto arrivare con il tempo a separare, com’è nella logica, le
fasi produttive e quelle distributive dei prodotti agricoli e con essi le
politiche di sostenimento della produzione agricola: i finanziamenti pubblici sosteranno
tutte le fasi della produzione, la commercializzazione sarà nelle mani di chi
di questo servizio ha fatto una professione. Con buona pace per chi con soldi
pubblici finanzia i mercatini dei produttori.
3 commenti:
..ma semplicemente controllare il volume prodotto e quello venduto e stoccato no? ...il solito "assiduo" commentatore anonimo...
Che dire di Arena (VR) e dell'anguria Dumara che manda in giro da una settimana come prodotto del mantovano? Un po prestino no? Qui c'è puzza di Tunisia....
Scusi se mi permetto ancora di commentare anonimamente, ma il discorso si collega perfettamente al discorso melina, ecc.. la mia non è polemica tout court , vorrei solo sollevare un problema sia etico che di sicurezza alimentare.
Vogliamo dire chiaramente una volta per tutte che la contraffazione alimentare è uno dei traffici illeciti più redditizi degli ultimi 20 anni? Vogliamo dire che la maggior parte degli agricoltori sono all' oscuro di cosa succede nei mercati?
Ci vuole molto a controllare la capacità produttiva di un'azienda o di un consorzio e a compararla col volume venduto? Il problema è di natura politica..
Non ci vuol molto per controllare i quantitativi prodotti ma ci vuole tanto, troppo, per accertare quanto è stato messo in circolo. Si tratta di fresco!! Ma perchè non contesta il fatto che marchi commerciali di produttori non dovrebbero essere finanziati con denaro pubblico?? Mi scusi il ritardo ma è sempre questione dell'antipatia verso l'anonimato
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