Liberalizzare sembra una bestemmia? A mio parere ci sono tanti lacci che impediscono il pieno sviluppo di tutte le potenzialità ancora esistenti in Itlia per commercializzare ortofrutta meglio. Generalmente non discuto questi temi su questo blog ma credo sia interesse di tutti guardare la situazione generale anche dal mio punto di vista. E' il puinto di vista di uno che ha vissuto le buone e le cattive stagioni dell'ortofrutta italiana fin dagli anni '50..
Con il passare degli anni una posizione inizialmente dominante sui mercati europei è stata puntellata al primo nascere di attori concorrenti da interventi di scuola antiliberista. Fin dalla nascita nel 1958 del MEC (mercato europeo comune costituito da soli sei paesi) la teoria prevalente, anche a Bruxelles, era quella che la produzione agricola aveva bisogno di aiuti e iniziò la stagione delle garanzie di prezzi minimi (con i ritiri dal mercato dell' Aima e tutte le relative nefandezze) e poi il finanziamento delle infrastrutture per lo stoccaggio e le lavorazioni dei prodotti ortofrutticoli ai soli produttori associati.
L'Italia adottò un regolamente interno differente da quello degli altri paesi estromettendo dai finanziamenti completamente gli esportatori che fino a quel momento rappresentavano la punta di diamente per la conquista dei mercati lontani.
Da allora i finanziamenti hanno indirizzato ogni attività non solo produttiva ma anche distributiva creando di fatto un territorio protetto per le organiozzazioni dei produttori (dalla singola cooperativa fin giù alle grandi chiese di CIA, Coldiretti, Confagricoltura ecc.) Come conseguenza il commercio individuale si inaridì progressivamente e la produzione organizzata, sotto la guida di dirigenti con la mentalità del produttore, anche la spinta commerciale (con la elativa assunzione di rischi commerciali) si arrestò.
Mentre il paese di maggior iniziativa, la Spagna, aumentò la sua presenza su tutti i mercati esteri, aumentando insieme ad essa anno dopo anno fino ad oggi anche tutte le produzioni ortofrutticole, l'Italia, sazia delle conquiste fin lì raggiunte, si riposò sugli allori salvo poi chiedere sempre più aiuti a Bruxelles per rimediare introiti calanti.
I Centri alimentari.
Una simile situazione la troviamo sui mercati all'ingrosso dove il libero commercio viene fortemente controllato dalle aziende municipalizzate che hanno il monopolio della gestione delle strutture necessarie per una moderna distribuzione non limitandosi solo alla regolamentazione ed ai controlli fitosanitari ed igienici ma volendo gestire anche le infrastrutture immobiliari con propri dirigenti ed i flussi finanziari ad esse collegate. Il commercio all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli non può svilupparsi liberamente. Non ha potuto adeguarsi alle esigenze della nascente GDO che è andata direttamente in campagna per approvigionarsi trovandosi spesso in difficoltà per via di servizi logistici e di continuità commerciali carenti.
Una ulteriore limitazione allo sviluppo commerciale viene causato dalla mancanza di inizaiti (ed intraprendenza) privata dall'ormai quasi estinta categoria degli esportaotri specializzati che sarebbero più adatti a navigare i mari mossi della globalizzazione che non i funzionari semipubblici che governano il mondo della produzione organizzata. Non credo ci sia chi possa contestare l'affermazione che senza il 4,5 % di finanziamenti che arrivano alle Organizzazioni dei Produttori ufficialmente destinati alla promozione, sui mercati emergenti non si muoverebbe foglia (tranne quella di Michelangelo Rivoira in Piemonte e qualche lodevole eccezione al sud).
Cambiare queste realtà sarà difficile anche per un governo tecnico ma sarebbe bene almeno iniziare a prendere coscienza di una situazione che non fa altro che ripercuotersi negativamente su tutto il mondo ortofrutticolo, sopratutto quello della produzione come ormai hanno capito quasi tutti.
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