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lunedì 9 aprile 2012

LA CHIMICA NELL'ORTOFRUTA

Nell’ultimo numero de l’Espresso ha fatto discutere gli ambienti ortofrutticoli un articolo a firma di Agnese Cadignola intitolato “Quanta chimica in quella mela”.



In pratica si denuncia il fatto che i prodotti ortofrutticoli sono spesso talmente perfetti che sembrano “giochi di plastica, privi di difetti, lucenti e omologati” insinuando il dubbio che tutto sia ottenuto in modo innaturale e soprattutto con la chimica.

Non voglio e non posso entrare in tutti i dettagli ma vorrei qui difendere me stesso perché tempo fa ho deciso di continuare a comprare e far consumare alla mia famiglia ortofrutta prodotta in modo tradizione anche se c’è da tempo a disposizione una soddisfacente offerta prodotti biologici.

Ho preso questa decisione sulla base dei seguenti ragionamenti: Consumiamo da tempo molto ortofrutta e nella mia cerchia non noto danni particolari, registro che i controlli effettuati regolarmente da enti statali (ma in Germania anche da Greenpeace) certificano che non più del 2 % delle merci supera i limiti dei residui ammessi per legge. Seguo da tempo i processi produttivi e vedo che soprattutto con il metodo della produzione integrata (che con l’aiuto del controllo degli insetti permette una forte diminuzione dei pesticidi in campagna) e lavo con particolare cura le specie che hanno più bisogno di protezione chimica perché sono più facilmente attaccati dalle malattie (es. fragole e orticole a foglia).

Per il resto è la maggioranza dei consumatori che guida i dettaglianti nella loro offerta: sono essi che scelgono sempre il prodotto più bello, più grosso, più colorato. Che c’è di male se il produttore si ingegna per venire incontro a queste esigenze?? Non hanno fatto così già i nostri antenati quando hanno selezionato in natura e riprodotto vicino a casa i semi più grossi, le foglie più tenere ed i frutti più appariscenti di dolce?

Le esigenze della moderna distribuzione fanno il resto: si ha bisogno di grandi masse di calibri uniformi, di frutta che non sfiorisce, di ortaggi che non appassiscono. Ma ci sono tanti metodi naturali per venire incontro a queste esigenze: in campagna le verdure si piantano a una certa distanza, sull’albero si dirada i frutti troppo piccoli, in magazzino ci sono enormi calibratrici elettroniche che con il laser prendono le misure esterne del frutto e misurano persino i gradi zuccherini dell’interno senza intaccare minimamente il prodotto.

Per una più lunga conservazione è di grande aiuto la refrigerazione ma anche la regolazione delle atmosfere all’interno delle celle frigorifere o delle confezioni di plastica. In pratica riducendo artificialmente la percentuale di ossigeno la frutta così trattata va in letargo rallentando la respirazione e pertanto il decadimento della polpa.

La chimica esiste ma con l’andar del tempo è stata ridotta e resa più blanda. Negli anni sono stati aboliti il DDT, il DPA ed ultimamente anche l'etossichina. I tempi di carenza sono sempre meglio studiati ed anche osservati. Se vogliamo nutrire l'umanità non potremo fare a meno della chimica ma potremo certamente renderla sempre più innocua. Ma per chi nonostante tutto cerca di meglio la soluzione c'è già: convertirsi al biologico.

Io non mi sono ancora deciso per diversi motivi:
La purezza assoluta non esiste, il gusto non migliora, l'assortimento è sempre scarso, la qualità raramente è al cento percento, devo accettare tutta merce preconfezionata perché ci vuole la garanzia di un imballaggio chiuso ed i prezzi sono ancora troppo alti.


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